
È ormai noto e risaputo che la sostenibilità non è solo una moda a cui uniformarsi ma una vera e propria necessità su cui i governi nazionali e internazionali stanno spingendo moltissimo negli ultimi dati i veloci cambiamenti climatici. Anche nell’ambito dei prodotti di risparmio e di investimento si parla molto di sostenibilità o come a noi piace dire ESG. Questo fenomeno ha portato molti sottoscrittori di prodotti di risparmio a preferire (e a ben vedere) tali tipologie di investimenti. Le soluzioni scelte potrebbero però non essere così sostenibili come pubblicizzato dalla società proponente e questo fenomeno è noto come Green washing o “ambientalismo di facciata”.
Per questo motivo è intervenuto un regolamento europeo chiamato SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation) con l’obiettivo di fare da guida agli investitori nel riconoscere quali tipologie di investimento sono realmente sostenibili o fanno della sostenibilità il proprio obiettivo.
In base alle attività svolte dai fondi comuni di investimento, verrà ad essi attribuita una classificazione standardizzata che corrisponde agli articoli 6,8 e 9 del regolamento SFDR, queste caratteristiche saranno contenute nelle informazioni precontrattuali consegnate agli investitori.
Nel caso il prodotto rientri all’interno dell’Articolo 6 significa che la strategia definita dal fondo NON è delineata con criteri ESG.
Se il prodotto rientra nell’Articolo 8 significa invece che lo stesso sta promovendo criteri ESG ma senza perseguire obiettivi ben definiti ovvero che promuova “tra le altre caratteristiche, caratteristiche ambientali o sociali”. Per questo motivo il Fondo investirà seguendo esclusivamente logiche proprie di investimento che potrebbero non essere quelle di ottenere degli specifici obiettivi al livello di sostenibilità ma che comunque perseguirà una selezione dei titoli in portafoglio basata anche su criteri di sostenibilità (per esempio potrebbe escludere azioni di società che producono armi o hanno alte emissioni di CO2).
Se invece vengono classificati secondo l’Articolo 9 significa invece che stanno perseguendo il massimo livello di sostenibilità ovvero che essi abbiano uno o più obiettivi che “contribuiscano a un obiettivo ambientale, misurato, ad esempio, mediante indicatori chiave di efficienza delle risorse concernenti l’impiego di energia, l’impiego di energie rinnovabili, l’utilizzo di materie prime e di risorse idriche e l’uso del suolo, la produzione di rifiuti, le emissioni di gas a effetto serra nonché l’impatto sulla biodiversità e l’economia circolare; o un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo sociale, in particolare un investimento che contribuisce alla lotta contro la disuguaglianza; o che promuove la coesione sociale, l’integrazione sociale e le relazioni industriali; o un investimento in capitale umano o in comunità economicamente o socialmente svantaggiate a condizione che tali investimenti non arrechino un danno significativo a nessuno di tali obiettivi e che le imprese che beneficiano di tali investimenti rispettino prassi di buona governance, in particolare per quanto riguarda strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione del personale e rispetto degli obblighi fiscali”.
Questo significa che il prodotto dovrà perseguire come unico obiettivo la sostenibilità? Assolutamente no ma dovranno offrire garanzie in termini ambientali o sociali che a differenza dell’art. 8 sarà intenzionale, misurabile e quantificato.
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